Ong in bolletta. Ora usano le barche da diporto e mettono a rischio la sicurezza in mare
Nessun marinaio specializzato e certificazioni specifiche assenti: per risparmiare soldi, gli attivisti salpano su imbarcazioni meno sicure e vanno a recuperare i migranti
Francesca Galici 5 Settembre 2024 – 09:27
Foto dal sito Sarah-SeenotrettungAscolta ora
Le casse delle Ong sembra si stiano svuotando. Al momento nessuna nave sta operando nel Mediterraneo centrale. Quasi tutte si trovano in porto, per la maggior parte a Licata, tranne quelle che hanno da poco sbarcato, Geo Barents, bloccata 60 giorni a Salerno e Sea-Watch bloccata per 20 giorni a Civitavecchia. Poi c’è Mare Jonio, che non è bloccata ma non può uscire per fare soccorso. Gli interventi in mare hanno un costo elevato, il carburante è piuttosto costoso e la maggior parte dei membri dell’equipaggio sono professionisti a busta paga della Ong, di volontari ce ne sono pochi, almeno sulle navi ufficialmente registrate come Search and Rescue.
La Mare Jonio non ha le certificazioni: ecco perché non può operare nel Mediterraneo
Se le grandi organizzazioni possono contare sui finanziamenti governativi, soprattutto dalla Germania e dai Paesi Baschi, oltre che su una certa fama che garantisce visibilità, le piccole realtà devono accontentarsi delle briciole e allora tagliano quanto più possibile i costi, anche a scapito della sicurezza. Come? Cambiando tipologia di barche da impiegare. Ci sono almeno tre imbarcazioni nel Mediterraneo che non sono registrate come Search and Rescue ma sono classificate come semplici “pleasure craft”, che letteralmente si tradurrebbe come “barche da piacere”. Sono le classiche barche da diporto, quelle utilizzate per le vacanze e per lo svago, che chiunque abbia conseguito una licenza nautica può condurre e manovrare.
